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Marco Arcieri "Ingegneria addio ora faccio il pianista e suono Chopin"

18 Ottobre 2018

Fino a pochi anni fa diceva «sono un pianista mantenuto da un ingegnere»: calcoli e progetti di giorno nel suo affermato studio romano con dieci dipendenti, il pianoforte la sera e nei weekend. Oggi ha chiuso lo studio e si dedica totalmente alla musica coronando il sogno da bambino: «avevo otto anni quando, a lume di candela, mi mettevo una giacca di velluto col colletto della camicia tirato su per farla sembrare ottocentesca, e suonavo fingendo di essere Chopin». Quella di Marco Arcieri è la bella storia di un 55enne che ora debutta a Milano nel cartellone “giovani” del Quartetto a Casa Verdi. Con Chopin, naturalmente: la monomania che nutre da sempre.

Perché non ha fatto il pianista da subito?

«Forse avrei dovuto. Mi è sempre venuto semplice suonare. Ma il destino mi ha portato altrove».

Com’è avvenuta la decisione di voltare pagina?

«Amici e conoscenti mi hanno spinto in questa direzione. I parenti meno, e mia moglie mi prende in giro ancora adesso. Così cinque anni fa ho pensato a Berlino come piazza dove cimentarmi. Tutte le sale mi hanno detto no, leggendo il mio curriculum. Una mi attirava come turista: il castello di Luigi Ferdinando di Prussia, villa splendida, nella parte est della città. L’ho visitata e quando ho visto il Bechstein che troneggiava nel salone dei concerti non ho resistito come sempre mi accade di fronte a un pianoforte».

Non mi dica che l’ha suonato in mezzo ai turisti.

«Io col piano ho un rapporto d’amore, e da vero innamorato sento il desiderio fisico di mettergli le mani addosso per sentire come reagisce. Così ho cominciato a suonare Chopin e un signore mi si è seduto accanto chiedendomi un altro pezzo. Alla fine il tipo mi ha detto: ok, quando fissiamo il primo concerto? Sono il direttore artistico della residenza».

Wow, che fiaba.

«A lieto fine: da allora è il 15esimo concerto che tengo lì e sto per completare l’opera omnia di Chopin».

Perdoni, ma per suonare un autore del genere non bisogna studiare ore al giorno?

L’attività d’ingegnere l’ha chiusa da poco.

«Alcuni pianisti devono studiare di meno, altri di più. Ma chi viene ai miei concerti non deve aspettarsi la perfezione».

E cosa allora?

«L’anima e il sentimento di Chopin. Chi lo suona per professione “vende” la propria passione a un impegno preso col pubblico. Io, rimasto nell’ombra per anni, lo suono per puro amore».

È questa la sua cifra?

«Oddio che paura: non mi faccia tornare ingegnere! Mi spavento sempre quando sento la parola cifra! Scherzo, ma non tantissimo.

Allora, la mia cifra… una signora mi ha scritto che suono Chopin con la naturalezza con la quale si respira. La mia identità d’interprete sparisce: c’è solo la musica. Mi piacerebbe fosse vero!

Rimango uno che ha studiato pochissimo rispetto ai concertisti».

Rimpiange di non esserlo?

«Sì, ma molti mi dicono che se lo avessi fatto di professione ora non suonerei così Chopin».

E lo studio d’ingegneria?

«Nessun rimpianto. Ok quando si trattava di progettare il restauro di chiese antiche o il risanamento di una frana che ha salvato un borgo, ma gli ultimi lavori sono stati due depuratori: mi hanno fatto staccare con molta nonchalance».

Un piano B?

«Nessun problema, Tornerei a suonare Chopin per me stesso».